Quello che
ci rende più insicuri al momento di
avvicinarci ad una nuova cultura è probabilmente il non sapere come
approcciare le persone; perché l’essere umano ha bisogno di contatto e la
mancanza di relazioni è l’incubo di ogni migrante.
Noi, che
pure siamo migranti provvisori (quantomeno ora), forse anche a causa della
mancanza di tempo siamo più portati a temere questa solitudine. L’essere
Erasmus aiuta: perlomeno fra di noi, studenti stranieri, ci sarà sempre un
vincolo di solidarietà e comunicazione. Ma la sensazione di isolamento rispetto
agli abitanti del paese, al popolo nel quale ci troviamo immersi, è un ostacolo
particolarmente difficile da superare; la prova del nove dell’Erasmus è, quanti amici portoghesi (o inglesi, o
francesi, o lituani etc) hai?
Il che non è
per niente facile.
Una delle
informazioni che ho sentito più di tutte le altre, quando ancora ero in attesa
di comprare il mio biglietto di andata, è stata la seguente: i portoghesi sono chiusi, asociali, non
rivolgono la parola agli studenti stranieri.
Prima
conclusione: gli Erasmus in Portogallo si sentono soli. Coloro che hanno del
Portogallo un’idea simile alla Spagna, mi spiace dirlo, sono completamente
fuori strada. Tanto gli spagnoli amano parlare e avvicinarsi allo straniero,
quanto i portoghesi sono timidi e poco portati a fare il primo passo. Le
critiche più aspre espresse al Portogallo sono, guarda caso, formulate da
studenti spagnoli o brasiliani (due culture molto, molto diverse da quella portoghese).
Soprattutto quando a questa impreparazione culturale si somma quella
linguistica (non solo non sappiamo come avvicinarli, ma non capiamo neanche
cosa dicono!), il problema diventa ancora più spaventoso da affrontare.
Effettivamente,
è vero: i portoghesi sono timidi. Difficilmente ti vedranno in un angolo
dell’aula e verranno a chiederti chi sei, da dove vieni, cosa fai lì. E’ molto
più probabile che ti guardino da lontano, se ne stiano a confabulare fra di
loro e poi, semplicemente, ti ignorino.
Fatta questa
premessa, bisogna però dire un’altra cosa: gli stranieri qui siamo noi. Per
quanto faccia piacere ricevere attenzioni in un momento difficile (lontani da
casa, in un posto nuovo etc), non possiamo piegare una cultura alle nostre
necessità; restare nell’angolino e lamentarsi non porta a grandi risultati. Da
che mondo è mondo, le persone stabiliscono relazioni fra di loro: lo fanno in
Italia, lo fanno in Portogallo, in Spagna, in Svezia o in Germania.
Semplicemente cambia il modo in cui
le si inizia. Guardiamo in faccia la realtà: uscire dalla propria comfort zone
significa anche entrare nelle modalità culturali dalle quali siamo circondati,
non solo imparare una lingua e cambiare paese.
Ho scoperto
che, nel momento in cui si rompe la timidezza iniziale, i portoghesi sono
persone estremamente divertenti e profonde. La mia tecnica, nella disperata
ricerca di farmi degli amici, è praticamente consistita nel sedermi in mezzo ai
miei compagni ed iniziare a parlare: in una lingua a metà fra le poche parole
di portoghese che conoscevo e l’inglese, ma parlare. Da quel momento non ho più
smesso. Trovandomi in una classe molto piccola, legare con i miei compagni è
stato incredibilmente facile; non farmi vedere intimorita è stato il miglior
modo per farmi benvolere.
I portoghesi
amano chiacchierare. Amano riunirsi a bere caffè e conversare insieme; amano
ritrovarsi nei bar, nei locali, nella caffetteria dell’università. Amano
circondarsi di amici. Adorano
l’ironia e spesso e volentieri si prendono affettuosamente in giro fra di loro.
Non guardano all’aspetto estetico di una persona, anzi, puntano tutto sulla
personalità; è molto difficile vedere una ragazza o un ragazzo andare a lezione
senza l’immancabile stile “mi sono appena alzato dal letto”, ma allo stesso
tempo nessuno sforna inutili critiche riguardanti i vestiti o la curatezza del
compagno di corso. Sono persone genuine e sincere. Sto imparando a voler bene a
queste relazioni semplici e dirette; avrò nostalgia dei miei amici e del loro
modo di fare.
E’
ragionevole pensare che, nel momento in cui uno straniero approda nel loro
corso, i locali si aspettino che sia lui a fare il primo passo: il timore di
risultare invadenti o fastidiosi, e a volte anche l’imbarazzo della lingua,
sono ragioni più che valide per uno studente portoghese. Quindi sta a noi,
basicamente, non avere paura.
Durante un
viaggio nel nord del Portogallo, ho avuto una conversazione molto interessante
con un mio amico portoghese proprio su questo tema. “Noi siamo timidi” mi ha
detto, ridendo, a questo proposito “ci aspettiamo che se uno studente straniero
vuole parlare con noi, sarà lui a venire.”
D’altronde,
pensando a tanti racconti che mi sono stati fatti da amici stranieri che hanno
avuto esperienze di scambio in Italia, noi italiani non siamo da meno in quanto
ad accoglienza: anzi, molto spesso appariamo “freddi e presuntuosi” agli occhi
dei ragazzi stranieri, con pochissima voglia di parlare e conoscere chi è
diverso. Proprio perché non siamo noi a fare il primo passo. Ma questo non fa
degli italiani un popolo di asociali (!), semplicemente si tratta di una
modalità culturale diversa.
Una
conclusione che ho tratto a proposito di tutto questo è che la preparazione
culturale che si da agli studenti Erasmus è praticamente nulla.
Un’esperienza
di questo tipo è, certo, un’esperienza di studio, ma è soprattutto un’occasione
di crescita personale; per quanto sembri facile da dire, siamo un’intera
generazione di ragazzi che per alcuni mesi vive, studia, mangia, dorme, parla,
socializza e viaggia in un paese straniero. Per quanto a 20, 21, 22 e più anni
possiamo essere autonomi a livello personale, nessuno ci insegna che il
contatto fisico in Europa del Nord va usato con molta precauzione; che in
Spagna gli orari sono molto dilatati; che il rapporto studente – insegnante può
non essere lo stesso del nostro paese d’origine, o che il modo in cui ci si
rivolge ad una persona più anziana può richiedere un registro particolare.
Tutti questi sono elementi che, per tantissimi studenti, rendono l’esperienza
Erasmus difficile e non completa; sono ostacoli all’integrazione.
Ovviamente a
lungo andare tutto questo si impara: ma non sarebbe molto più facile dare agli
studenti un minimo di preparazione culturale riguardo al paese di destinazione?
Anche il semplice fatto di spiegare a uno studente spagnolo “guarda, se resti
lì nessuno verrà a parlarti, muoviti e parla tu per primo” potrebbe risparmiare
mesi di difficoltà e incomprensione.
Insomma.
Questa volta avevo voglia di riflettere un po’ di più su un tema di cui si
parla parecchio fra gli Erasmus e che probabilmente potrebbe essere d’aiuto a
tanti altri studenti che sono in procinto di partire.
Fondamentalmente,
non esistono paesi “aperti” o “chiusi”; esistono solo culture diverse.
Beijinhos