saudade...

PARA MIS AMIGOS HISPANOHABLANTES :)

MENSAJE PARA MIS AMIGOS HISPANOHABLANTES :)
Hola gente!
Esta va a ser una pequeña descripción de lo que voy a estar haciendo acá, en este espacio virtual que habla de mi Erasmus en Portugal.
Les explico: como ustedes saben, ya estoy a punto de terminar la Uni y este es mi último semestre antes de recibirme.
Parte de mi proyecto final (que básicamente se centra en el choque cultural y las dificultades a la hora de integrarse, con referencias a las funciones del cuento de Propp... si quieren más informaciones, me van diciendo jajaja) va a ser escribir un blog sobre mi experiencia de intercambio, la lengua, lo difícil de adaptarse a una nueva cultura etc etc. Es muy importante para mí, ya que esta va a ser la parte más linda y más central de todo mi proyecto :)
Decidí que cada tanto va a haber un post en castellano, cuando se me ocurra alguna cosita interesante o alguna comparacón con los países hispanohablantes que conozco (sobretodo con mi querida Argentina), para que ustedes, si es que están interesados, puedan saber que es lo que va pasando en esta tierra portuguesa :)
Un abrazo y un saludito!!

mercoledì 20 aprile 2016

L'EROE, LA TIMIDEZZA, LA PAROLA

Quello che ci rende più insicuri al momento di  avvicinarci ad una nuova cultura è probabilmente il non sapere come approcciare le persone; perché l’essere umano ha bisogno di contatto e la mancanza di relazioni è l’incubo di ogni migrante.
Noi, che pure siamo migranti provvisori (quantomeno ora), forse anche a causa della mancanza di tempo siamo più portati a temere questa solitudine. L’essere Erasmus aiuta: perlomeno fra di noi, studenti stranieri, ci sarà sempre un vincolo di solidarietà e comunicazione. Ma la sensazione di isolamento rispetto agli abitanti del paese, al popolo nel quale ci troviamo immersi, è un ostacolo particolarmente difficile da superare; la prova del nove dell’Erasmus è, quanti amici portoghesi (o inglesi, o francesi, o lituani etc) hai?
Il che non è per niente facile.
Una delle informazioni che ho sentito più di tutte le altre, quando ancora ero in attesa di comprare il mio biglietto di andata, è stata la seguente: i portoghesi sono chiusi, asociali, non rivolgono la parola agli studenti stranieri.
Prima conclusione: gli Erasmus in Portogallo si sentono soli. Coloro che hanno del Portogallo un’idea simile alla Spagna, mi spiace dirlo, sono completamente fuori strada. Tanto gli spagnoli amano parlare e avvicinarsi allo straniero, quanto i portoghesi sono timidi e poco portati a fare il primo passo. Le critiche più aspre espresse al Portogallo sono, guarda caso, formulate da studenti spagnoli o brasiliani (due culture molto, molto diverse da quella portoghese). Soprattutto quando a questa impreparazione culturale si somma quella linguistica (non solo non sappiamo come avvicinarli, ma non capiamo neanche cosa dicono!), il problema diventa ancora più spaventoso da affrontare.
Effettivamente, è vero: i portoghesi sono timidi. Difficilmente ti vedranno in un angolo dell’aula e verranno a chiederti chi sei, da dove vieni, cosa fai lì. E’ molto più probabile che ti guardino da lontano, se ne stiano a confabulare fra di loro e poi, semplicemente, ti ignorino.
Fatta questa premessa, bisogna però dire un’altra cosa: gli stranieri qui siamo noi. Per quanto faccia piacere ricevere attenzioni in un momento difficile (lontani da casa, in un posto nuovo etc), non possiamo piegare una cultura alle nostre necessità; restare nell’angolino e lamentarsi non porta a grandi risultati. Da che mondo è mondo, le persone stabiliscono relazioni fra di loro: lo fanno in Italia, lo fanno in Portogallo, in Spagna, in Svezia o in Germania. Semplicemente cambia il modo in cui le si inizia. Guardiamo in faccia la realtà: uscire dalla propria comfort zone significa anche entrare nelle modalità culturali dalle quali siamo circondati, non solo imparare una lingua e cambiare paese.
Ho scoperto che, nel momento in cui si rompe la timidezza iniziale, i portoghesi sono persone estremamente divertenti e profonde. La mia tecnica, nella disperata ricerca di farmi degli amici, è praticamente consistita nel sedermi in mezzo ai miei compagni ed iniziare a parlare: in una lingua a metà fra le poche parole di portoghese che conoscevo e l’inglese, ma parlare. Da quel momento non ho più smesso. Trovandomi in una classe molto piccola, legare con i miei compagni è stato incredibilmente facile; non farmi vedere intimorita è stato il miglior modo per farmi benvolere.
I portoghesi amano chiacchierare. Amano riunirsi a bere caffè e conversare insieme; amano ritrovarsi nei bar, nei locali, nella caffetteria dell’università. Amano circondarsi di amici. Adorano l’ironia e spesso e volentieri si prendono affettuosamente in giro fra di loro. Non guardano all’aspetto estetico di una persona, anzi, puntano tutto sulla personalità; è molto difficile vedere una ragazza o un ragazzo andare a lezione senza l’immancabile stile “mi sono appena alzato dal letto”, ma allo stesso tempo nessuno sforna inutili critiche riguardanti i vestiti o la curatezza del compagno di corso. Sono persone genuine e sincere. Sto imparando a voler bene a queste relazioni semplici e dirette; avrò nostalgia dei miei amici e del loro modo di fare.
E’ ragionevole pensare che, nel momento in cui uno straniero approda nel loro corso, i locali si aspettino che sia lui a fare il primo passo: il timore di risultare invadenti o fastidiosi, e a volte anche l’imbarazzo della lingua, sono ragioni più che valide per uno studente portoghese. Quindi sta a noi, basicamente, non avere paura.
Durante un viaggio nel nord del Portogallo, ho avuto una conversazione molto interessante con un mio amico portoghese proprio su questo tema. “Noi siamo timidi” mi ha detto, ridendo, a questo proposito “ci aspettiamo che se uno studente straniero vuole parlare con noi, sarà lui a venire.”
D’altronde, pensando a tanti racconti che mi sono stati fatti da amici stranieri che hanno avuto esperienze di scambio in Italia, noi italiani non siamo da meno in quanto ad accoglienza: anzi, molto spesso appariamo “freddi e presuntuosi” agli occhi dei ragazzi stranieri, con pochissima voglia di parlare e conoscere chi è diverso. Proprio perché non siamo noi a fare il primo passo. Ma questo non fa degli italiani un popolo di asociali (!), semplicemente si tratta di una modalità culturale diversa.
Una conclusione che ho tratto a proposito di tutto questo è che la preparazione culturale che si da agli studenti Erasmus è praticamente nulla.
Un’esperienza di questo tipo è, certo, un’esperienza di studio, ma è soprattutto un’occasione di crescita personale; per quanto sembri facile da dire, siamo un’intera generazione di ragazzi che per alcuni mesi vive, studia, mangia, dorme, parla, socializza e viaggia in un paese straniero. Per quanto a 20, 21, 22 e più anni possiamo essere autonomi a livello personale, nessuno ci insegna che il contatto fisico in Europa del Nord va usato con molta precauzione; che in Spagna gli orari sono molto dilatati; che il rapporto studente – insegnante può non essere lo stesso del nostro paese d’origine, o che il modo in cui ci si rivolge ad una persona più anziana può richiedere un registro particolare. Tutti questi sono elementi che, per tantissimi studenti, rendono l’esperienza Erasmus difficile e non completa; sono ostacoli all’integrazione.
Ovviamente a lungo andare tutto questo si impara: ma non sarebbe molto più facile dare agli studenti un minimo di preparazione culturale riguardo al paese di destinazione? Anche il semplice fatto di spiegare a uno studente spagnolo “guarda, se resti lì nessuno verrà a parlarti, muoviti e parla tu per primo” potrebbe risparmiare mesi di difficoltà e incomprensione.
Insomma. Questa volta avevo voglia di riflettere un po’ di più su un tema di cui si parla parecchio fra gli Erasmus e che probabilmente potrebbe essere d’aiuto a tanti altri studenti che sono in procinto di partire.
Fondamentalmente, non esistono paesi “aperti” o “chiusi”; esistono solo culture diverse.

Beijinhos

Nessun commento:

Posta un commento