Abitudini
portoghesi, capitolo secondo: JANTAR DE GALA.
Spesso e
volentieri, a causa delle molte difficoltà burocratiche che sto incontrando
durante questo percorso, ho pensato che forse sarebbe stata una scelta più
saggia il venire qui durante il primo semestre. Allo stesso tempo, però, devo
ammettere che essere qui alla fine dell’anno ha i suoi vantaggi particolari:
fra questi, la serie interminabile di eventi che caratterizzano la conclusione
dell’anno accademico.
Va detta una
cosa: i portoghesi sentono molto lo spirito di appartenenza all'università. Avete presente quelle università inglesi di inizio Novecento, con gli studenti
vestiti di nero, che passeggiano dentro edifici antichi e mettono su strani
riti d’iniziazione per i nuovi arrivati … il tutto vagamente inquietante? Ecco.
Spostatelo ai giorni nostri e mettetelo qui in Portogallo. Davvero.
La festa del
Caloiro (durante la quale le matricole, i nuovi arrivati, festeggiano la “liberazione”
dalla schiavitù che per due mesi li ha costretti ad eseguire gli ordini del
loro “padrino” o “madrina” appartenente all’ultimo anno) si svolge a Novembre.
Gli studenti dell’ultimo anno indossano il loro “traje” (una sorta di uniforme
nera che comprende camicia bianca, pantaloni/gonna, scarpe eleganti e un ENORME
mantello nero che fa molto Transilvania e viene ricoperto di “emblemas” cuciti
durante gli anni) e le “tunas” (bande di studenti che cantano, suonano e
ballano canzoni tradizionali della cultura accademica e non) danno spettacolo;
una grande festa, insomma, che non ho avuto la fortuna di vivere ma che ho
conosciuto a pezzettini (concerti di tunas, gente aleatoria che passeggia per l’università
in uniforme, foto, racconti).
Quello che
succede fra Aprile e Maggio, invece, è un po’ più sentimentale: già da Aprile i
portoghesi, che sono legatissimi al loro periodo universitario, iniziano a dire
addio all’anno accademico. Il che inizia a fine Aprile, quando tutte le facoltà
organizzano il loro “jantar de gala” (letteralmente, cena di gala), e culmina a
fine Maggio con la “semana academica” e la “queima das fitas”: di queste ultime
parlerò molto a breve (sto già decorando le mie fitas e l’emozione per la
settimana accademica è nell’aria), e adesso vorrei raccontare quale assurdo
momento di festa sia un jantar de gala portoghese.
Perché assurdo?
Perché i
portoghesi, normalmente molto alla mano e sempre estremamente rilassati, si
vestono a festa. Per un jantar de gala è richiesto l’abito formale. Scarpe col
tacco, trucco, vestiti importanti, smoking per i ragazzi, camicie e cravatte,
capelli fatti dal parrucchiere; io, che alla fine non avevo molto tempo ne’
denaro da spendere in fronzoli vari, mi sono limitata al vestito e ai tacchi …
ma alcune mie compagne, senza scherzare, erano vestite come per andare a un
matrimonio. Per un paio di settimane, a partire dalle otto di sera, Evora si
riempie di gruppi e gruppetti vestiti a festa; è molto facile individuare chi
sta andando ad un jantar de gala.
La cena è
rivolta a tutti i componenti della facoltà, ex alunni e professori compresi.
Lo stupore
più grande, però, non è stato tanto l’abbigliamento quanto il dove e come tale
magnifico evento ha avuto luogo: un’intera
palazzina del centro storico è stata affittata, addobbata, decorata con
tavoli rotondi e specchi, munita di casse e postazione da DJ e supervisionata
da un’intera equipe di catering (!!!) . Il tutto per il modico prezzo di 15 euro
a persona. Non so come sia possibile, ma sembra che nessuno dei miei colleghi
lo trovi strano; Dio benedica il Portogallo.
(Un momento di entusiasmo durante la cena.)
Come una
processione, gli studenti entrano nel luogo prescelto per la cena e prendono
posto ai tavoli; sono i camerieri stessi a servire da bere (birra e sangria
senza limiti), e il cibo consiste nel tipico baccalà (uno dei piatti più
tradizionali della cucina portoghese). Per noi vegetariani c’è l’alternativa:
risotto con funghi e spezie.
Studenti e
professori siedono insieme. Partono cori su cori (altro elemento tipico della
cultura, per così dire, giovanile del Portogallo) affinché tutti quanti bevano
almeno un bicchiere: si nominano professori (che, a fine serata, sono tornati a
casa un po’ barcollanti e sicuramente molto felici), studenti chiamati per
nome, per anno, per nazionalità, per mese di nascita, per corso (io da sola
sono stata infilata in un coro almeno dieci volte. In quanto studentessa di
lingue, poi del corso di lingue e letterature, poi del terzo anno, poi in
quanto straniera, poi in quanto erasmus, poi in quanto italiana, poi in quanto
nata a Gennaio … e così via.) . Musica. Tutti scattano foto, si abbracciano,
parlano, ballano. Si, professori compresi.
E’ stato
veramente bellissimo.
Penso che
sia fondamentale, per noi che viviamo qui solo un breve periodo della nostra
vita, prendere parte a questi eventi così importanti per i portoghesi. Mi hanno
fatta sentire parte del loro gruppo, della loro università. Hanno parlato e
ballato con me, mi hanno offerto da bere ed invitata a brindare con loro. Mi
hanno tenuto un posto al loro tavolo. E, più che all’ansia per gli esami (che è
il sentimento unico, onnipresente e inevitabile del mio Aprile/Maggio
italiano), mi hanno fatto sentire la malinconia allegra di essere alla fine di
un percorso: per la prima volta, da quando ho iniziato a studiare all’università,
mi sto fermando a riflettere su tutto quello che ho vissuto e su quanto sia
stato veloce, intenso e importante.
Il Portogallo mi sta facendo sentire il
peso del tempo e l’importanza del celebrarlo: mi sta regalando del tempo per
rendermi conto che sono alla fine del mio primo percorso universitario. E sto
vivendo tutto questo insieme ai miei nuovi amici e colleghi, che senza farsi
domande me ne hanno condiviso il lato migliore: quello di essere, almeno per
qualche mese, una di loro. Probabilmente non avrei potuto chiedere miglior modo
per concludere questi tre anni: vestita a festa, circondata da allegra confusione,
e parlando portoghese.
Il fatto di
scandire in questo modo il tempo degli studi fa capire ai miei colleghi quanto
sia importante vivere il periodo universitario non solo come impegno e (spesso
e volentieri) stress, ma come un percorso di crescita che porta al
raggiungimento di un traguardo che non è solo accademico ma personale.
Mi viene da
ripensare al corso di cultura russa che ho avuto l’anno scorso, in cui si
parlava di una cultura rituale che nelle società odierne è praticamente
scomparsa … tranne che in determinate situazioni e in certi ambienti, fra i
quali spicca quello universitario di alcuni paesi. Il ritualizzare ci aiuta a
superare il trauma del cambiamento, e a viverlo come un passaggio necessario.
Lo vedo nel modo in cui italiani e portoghesi affrontano il periodo degli esami
e il periodo della fine del percorso triennale: i primi con ansia, rabbia e
paura di ciò che accadrà nell’anno successivo; i secondo che (pur avendo il
loro carico di studio e dubbi riguardo alla vita futura) attraverso i tanti
momenti di addio trovano un senso nella loro esperienza. Riescono a viverla più
serenamente.
Uno dei
momenti più belli di questo Erasmus è sicuramente quello vissuto insieme ai
miei compagni durante il jantar de gala. Pensare che si sia trattato solo del
preludio non fa che rendermi ancora più ansiosa di vedere cosa succederà, a
breve, durante la queima.
Beijinhos
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